Vol. 35, N° 2, Aprile - Giugno 2013
L’inserimento professionale del lavoratore affetto da cardiopatia ischemica: fattori prognostici, valutazione occupazionale e criteri per l’elaborazione del giudizio di idoneità alla mansione specifica
Riassunto
La cardiopatia ischemica, pur mostrando un tasso di incidenza che aumenta progressivamente con l’aumentare dell’età, può colpire soggetti relativamente giovani e in età lavorativa. I notevoli progressi nella terapia della sindrome coronarica acuta (SCA) e delle sue complicanze, se da un lato hanno drasticamente ridotto la mortalità sia in fase acuta che nelle fasi successive, d’altro lato hanno contribuito all’aumento della prevalenza nella popolazione generale in età lavorativa della cardiopatia ischemica cronica e delle condizioni di disfunzione ventricolare sinistra post-ischemica. Il primo momento del processo di inserimento lavorativo è rappresentato dallo studio delle condizioni di salute del lavoratore affetto da cardiopatia ischemica. Una volta effettuati e/o acquisiti tutti gli accertamenti clinici e strumentali, il primo obiettivo è rappresentato dalla stratificazione del rischio finalizzata a stimare l’evoluzione della cardiopatia ischemica. Gli elementi fisiopatologici che consentono la stratificazione del rischio e costituiscono quindii determinanti della prognosi post evento coronarico acuto sono: la presenza di ischemia residua e la soglia di indicibilità della stessa; la funzione ventricolare sinistra; l’eventuale presenza di instabilità elettrica e l’età. Solo quando la valutazione prognostica abbia definito un profilo di rischio basso, si ritiene auspicabile un’accurata valutazione del singolo caso, basata sia sulla valutazione funzionale del soggetto, sia sulla valutazione occupazionale. La valutazione occupazionale deve avere come elemento centrale (seppure non esclusivo) la misura del dispendio energetico richiesto dall’attività di lavoro svolta attraverso specifici studi ergometrici che solitamente vengono eseguiti solo in casi eccezionali. Tuttavia, sebbene con un certo grado di approssimazione e quindi da considerarsi come valore di “stima”, il dispendio energetico della maggior parte delle attività occupazionali e ricreative può essere dedotto da apposite tabelle presenti in letteratura. Quando il Medico Competente ha acquisito, da un lato tutte le informazioni relative alla valutazione prognostica, alla stratificazione del rischio e allo studio della capacità di lavoro residua del lavoratore, dall’altro lato tutti i dati riguardanti la valutazione (anche con modelli di “stima”) del dispendio energetico della specifica mansione da svolgere e i dati relativi ai fattori occupazionali di rischio, è possibile procedere ad un confronto fra i due gruppi di elementi di giudizio. Nel processo di comparazione, accanto agli indispensabili elementi di giudizio raccolti, sono necessari alcuni criteri di valutazione che vengono mutuati dalla fisiologia del lavoro e dalla cardiologia riabilitativa. Si ritiene che un soggetto è in grado di svolgere per 6-8 ore continuative un’attività lavorativa con consumo di ossigeno pari al 35-40% (Potenza critica - PCRIT) della capacità aerobica massima (VO2 max) raggiunta in corso di test ergospirometrico con valori di picco che non devono superare i 2/3 dello sforzo massimale raggiunto. La ripresa dell’attività lavorativa può essere consentita e consigliata se la capacità funzionale del paziente è almeno il doppio della richiesta energetica della specifica attività lavorativa.
Commento
Il presente studio, recentemente svolto da Taino e collaboratori (IRCCS Fondazione Salvatore Maugeri, Pavia), rappresenta uno dei più interessanti spunti, per il medico competente, in tema di elaborazione del giudizio di idoneità alla mansione specifica nei lavoratori cardiopatici.
Gli autori, dopo una dettagliata introduzione sulle caratteristiche patologiche della sindrome coronarica acuta, cercano di superare l’approccio “garantista” che spesso oggi si ha nell’espressione del giudizio di idoneità in questa tipologia di lavoratori. L’atteggiamento comune è infatti, spesso, quello di tutelare al massimo la loro integrità psicofisica, eliminando in maniera acritica o minimizzando l’esposizione a tutti quei fattori che possano in qualche modo sostenere un carico di lavoro cardiaco.
L’obiettivo dello studio è fornire le basi per una valutazione più specifica dell’idoneità alla mansione, basata su un più dettagliato inquadramento clinico del paziente, su una realistica definizione della sua “capacità di lavoro residua” dopo l’evento acuto e sulla valutazione della congruità fra condizioni di salute, caratteristiche dell’ambiente di lavoro e caratteristiche della mansione svolta.